Vagone di treno, interno giorno, aria fumosa, luci basse. Alcuni uomini giocano a poker, il tavolo verde è invaso da fiches, bicchieri e bottiglie di whisky.
"La stangata", due astuti imbroglioni dal cuore soffice
Comincia con questa inquadratura un indimenticabile poker: la miglior partita cinematografica in un epico film che, se non avete visto, dovete subito correre a vedere. Parliamo de La stangata (1973), capolavoro da sei Oscar, ormai nella storia di Hollywood. Bella la ricostruzione della Chicago anni Trenta, ipnotico il motivo musicale ragtime di Scott Joplin, divertente e ricca di colpi di scena la sceneggiatura, ma a essere insuperabili sono davvero i due protagonisti, Henry "Shaw" Gondorff, alias Paul Newman, e Johnny "Kelly" Hooker, alias Robert Redford. Guardatevi la scena del poker: Paul Newman, faccia da schiaffi, occhi di ghiaccio, sorriso sornione e sigaro tra i denti, bara a poker, ripulendo il cattivo della storia, il gangster Lonnegan, uomo senza redenzione e senza luce.
Nessun giocatore batte Paul Newman quanto a fascino e simpatia: “Shaw” è quel genere d’uomo ai cui piedi le donne cadono nell'attimo di un solo respiro. Ed è quel genere di uomo cui gli altri uomini vorrebbero assomigliare nella vita. Perché la vita stessa va presa come “Shaw” prende quella partita a poker: col sorriso da imbroglione, il riso beffardo e l’anima buona da bambino immacolato.
Danny Ocean e i suoi undici, dodici, tredici
I film sono pieni di giocatori e di bari perché la vita è piena di gente che gioca, scommette, bleffa, bara, rischia, perde, vince, imbroglia, per il bene o per il male. E il miglior cinema è quello che ci sorprende come un abile e simpatico imbroglione al tavolo da gioco. Come “Danny” Ocean, altro personaggio che ci racconta una bella fetta di storia del cinema.
Daniel "Danny" Ocean è il protagonista di Colpo Grosso (1960), del suo recente remake Ocean's Eleven - Fate il vostro gioco (2001), e dei due sequel Ocean's Twelve (2004) e Ocean's Thirteen (2007). Danny aveva in origine il volto angelico di Frank Sinatra, nelle versioni recenti ha quello fascinoso di George Clooney, affiancato nelle sue avventure da “Rusty”, un incallito giocatore di poker che ha il sorriso acchiappafemmine di Brad Pitt. La storia è nota: un gruppo di impostori buoni guidati da George Clooney e Brad Pitt tenta un colpo grosso ai danni di tre casinò di Las Vegas, il Bellagio, il Mirage e l'MGM Grand, tutti appartenenti al milionario Terry Benedict, il cattivo della storia. Anche la vita è un “colpo grosso” che esige, di volta in volta, l’intelligenza, la furbizia, l’abilità e quella speciale qualità che hanno i giocatori come “Danny” e “Rusty”: il gusto per il gioco mischiato a un sano appetito per la vita, come in un cocktail shakerato.
L'Asso italiano e l'azzardo come metafora della vita
“Tra poco avrai freddo”. “Perché?”. “Ti lascerò in mutande”. Inizia così, con una raffica di battute memorabili, un’altra divertente scena di poker: Asso, alias Adriano Celentano, è un incallito giocatore – ancora un irresistibile donnaiolo! – che si accinge a sfidare il Marsigliese, nella "Partita a carte del secolo". Nel film omonimo del 1981, diretto dal duo Castellano & Pipolo, Asso stravince, viene ucciso e si riprende la rivincita come fantasma. Sì, perché chi sa giocare gioca anche con la morte. Senza paura.
Quello del gioco è davvero uno dei temi preferiti dal cinema perché è una potente metafora della vita. Meno divertente, certo, ma bellissimo per le luci scintillanti e le ombre crudeli con cui dipinge i suoi giocatori protagonisti è il film di Martin Scorsese Casinò (1995): la vita è un gioco in cui si ride e si piange, si urla e, a volte, si può perdere tutto. Anche se stessi, come accade a Ginger, curve e volto di Sharon Stone (Golden Globe per l’occasione).
Il padre letterario di tutti i giocatori
Se pensate che il gioco sia solo un tema cinematografico, e quello del “giocatore” un cliché hollywoodiano, spargetevi la cenere sul capo e chiedete scusa. Il romanzo più bello sul gioco l’ha scritto un giocatore, ma non uno qualunque: l’ha scritto uno dei più potenti e ispirati romanzieri dell’Ottocento. Si chiamava Fiodor Dostoevskij, era russo ed era un vero giocatore d’azzardo, oltre che uno studioso delle pieghe nascoste dell’animo umano. Nel 1866 scrisse (a dire il vero dettò) un capolavoro in soli 28 giorni per pagarsi gli onerosi debiti di gioco. Il giocatore: così intitolò il suo romanzo, un libro dove la vita e il gioco, la verità e la finzione s’intrecciano in un vortice da capogiro.